INDIRIZZO
Corso Garibaldi 17
20121 Milano
ITALIA
CONTATTAMI @
Giovanni Malonni
L’ansia
Una musica lenta d’organo
sale e riempie la mia piccola
stanza assorta nell’ombra
di una quiete che dice
al mio cuore pace.
E pace in coro mi cantano
gli uccelli di sopra i tetti.
E le nuvole di lassù
si muovono leggere squarciando
a tratti il cielo blu.
Ma nulla! Invano si tenta
di sciogliere quel nodo
aggrovigliato entro al mio petto!
Madrigale triste
Vapori umidi di pioggia
si levano dai tetti e si dissolvono
nel cielo terso
portando ovunque messaggi
lugubri di morte.
Dentro persone in solitudine
raccolgono i loro corpi aggrovigliati
e contorti da spasmi
di ostinata angoscia!
A una donna Angelo
Non so se in una chiesa o per la strada,
mi sei apparsa in un attimo,
come il lampo improvviso prima del
temporale,
e la mia mente allora abbagliata
rivive della tua luce.
Rivederti o conoscerti meglio io non cerco,
anzi non voglio.
Altro non voglio che distrugga
la tua divina figura.
Regina o zingara che importa!
Venere nata dalla tempesta
o dalla schiuma del mare
che importa!
Demone o angelo che importa!
Io questo non voglio sapere -
più in là non oso.
Io voglio serbare nella mia mente
la tua candida immagine,
anche quando in me più non sarà poesia
anche quando ormai i caduchi tuoi petali
si troveran nel fango!
Ascoltare il silenzio
È osservare il sole pallido e stanco
posarsi sulla campagna.
È osservare l’ombra chiara della luna
nelle notti d’inverno.
È sentire il suono lontano
di una campana.
È l’abbaiare solitario di un cane
nella notte.
È la pedata stanca di un uomo,
il rumore di un carro
che all’alba riprende il suo cammino.
È il corpo esausto del guerriero
dopo la battaglia.
È vedere i tuoi occhi languidi
fissi all’infinito.
È il mio cuore che palpita adagio
privo di ogni sensazione.
O sordi rumori! Quando mai potrò
più risentirvi?
Dolci ricordi di un tempo!
Io sto correndo dietro al vento
e più ormai non m’accorgo,
più non vi sento!
Poesia
Opera in Concorso
Isabella Sandon Tenca
Poesia
Opera in Concorso (in definizione)
Specchi
Parlano in noi
lastre di vita
ridotte in frammenti
tracce significanti
del magico specchio
caverna antica
delle nostre paure
ridotte a riflessi confusi
Libellule
Aeree trasparenze
si librano leggere
poeticizzando la pozza
d'alta montagna.
Ed è danza musicale
Il loro accoppiarsi
La città
Alla luce del tramonto
i grattacieli di vetro
diventano specchi seriali
di luce rosa-dorata
su campo grigio acciaio
Gabbie
Ognuno sta chiuso
nella sua gabbia
di tempo, luogo e tabù.
Solo la bellezza ha le chiavi
che aprono le gabbie
Francesco Di Garbo
Libro
Opera in Concorso
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Francesco Di Garbo
Racconto
Opera in Concorso
L'EREDITÀ DELLA GUERRA
#Me ne andavo come ogni mattina con le pecore a pascolare
quando davanti a me un colono armato fino ai denti vidi sbucare
voleva che di punto in bianco andassi via dalla mia terra
sosteneva che adesso sua era diventata senza manco pagarla
esibiva un falso anomico rogito israeliano a testimoniare l'esproprio
truce con la forza tracotante delle armi mi voleva esautorare
poi una ruspa fece arrivare e in due-tre la mia casa fece crollare
non contento mi voleva ammazzare per fare piazza pulita
di tutti gli arabi in Cisgiordania e per darmi prova ch'era serio
le mie pecore prese a sventagliare tanto per morire d'inedia
volermi abbandonare in barba ai diritti umani universali
e degli accordi di Oslo stipulati e a Camp David controfirmati.#
***
Tra
le
gare
sportive
le
staffette
hanno
un
fascino
particolare.
Il
passaggio
di
testimone
entusiasma
anche
il
più
negletto
degli
spettatori.
In
effetti
non
vincono
gli
atleti,
vince
il
testimone
che
rappresenta
la
nazione
più
che
i
protagonisti.
In
sport
prettamente
individuali
le
staffette
sono
gare
collettive.
Il
testimone
deve
arrivare
al
traguardo
sano
e
salvo
senza
cadere
a
terra.
L'incidente
nel
passaggio
da
una
mano
all'altra
è
dietro
l'angolo
per
una
svista,
un'incomprensione
un
piccolo
errore
d'intesa
tra
gli
atleti.
Ciò
che
entusiasma
nelle
staffette
è
che
oltre
all'impresa
sportiva
esse
rispecchiano
il
senso
della
vita
comunitaria.
L'impresa
singola
pur
essendo
intrisa
di
motivi
ed
aspetti
esistenziali
rimane
fine
a
se
stessa
all'interno
della
specifica
storia
individuale.
Nel
suo
corrispettivo
comunitario
l'impresa
collettiva
delle
staffette
riguarda
il
passaggio
generazionale familiare o di comunità.
Il
testimone
assume
un
valore
metaforico
e
simbolico
non
indifferente
per
la
vita
umana
volta
a
tramandare
e
trasmettere
alle
generazioni
future
le
conoscenze
e
i
fatti
del
passato,
facendo
proprie
le
esperienze
vissute
per
rinnovarle
nel
futuro
ad-venire.
E
semmai
modificarle
e
perfezionarle
per
migliorare
l'esistenza
familiare
o
collettiva.
La
tradizione
tramandata
non
può
restare
statica
com'era
nel
passato,
ma
dal
passato
va
preso
cosa
c'era
di
buono
depurandolo
da
cosa
non
andava
e
riadattare
la
tradizione
alle
nuove
esigenze.
Tuttavia
si
ha
la
sensazione
che
dalla
tradizione
viene
preso
cosa
c'era
di
cattivo
per
perpetuare
le
ingiustizie
e
le
disuguaglianze,
mentre
il
buono
viene
accantonato;
sembra
che
la
storia
non
ci
insegni
nulla
e
ricommettiamo
sempre
gli
stessi
errori.
Chi
ha
in
mano
le
leve
del
potere
si
abbarbica
alla
tradizione
in
questo
senso
per
continuare
a dominare senza cambiare nulla. Di contro predicano il cambiamento per continuare ad avere in mano le leve del potere: quindi razzolano male.
Il
testimone
ha
valore
quando
le
cose
cambiano
sia
nelle
persone
quanto
nei
fatti,
non
per
razionalizzare
la
realtà,
ma
per
renderla
razionale
secondo
i
criteri
e
i
principi
logici
e
non
solo
matematici.
oggigiorno
invece
domina
la
quantità
a
discapito
della
qualità,
la
quantificazione
della
guerra a discapito della qualificazione della pace.
È
sempre
successo
nella
storia
che
i
morti
hanno
lasciato
il
testimone
ai
vivi
affinché
continuassero
la
loro
opera;
essere
testimoni
del
loro
sacrificio
per
redimerlo
affinché
esso
non
sia
stato
compiuto
invano.
I
vivi
lo
devono
testimoniare.
Tuttavia
spesso
le
ingiustizie,
il
terrore,
i
drammi
creano
talmente
tanto
di
quell'odio
che
chi
raccoglie
il
testimone
viene
posseduto
dalla
vendetta
e
vive
con
questo
scopo:
giusto
o
sbagliato che sia. È così che si generano le faide tribali, l'odio etnico e si perpetua la guerra tra le famiglie e i popoli.
Mauro
aveva
ottenuto
quell'incontro
audio
per
vie
traverse
indicibili;
le
fonti
devono
restare
sempre
anonime,
recita
il
primo
principio
del
giornalismo.
Abed
dopo
aver
tentennato
parecchio
e
vagliate
le
conseguenze
aveva
accettato
di
dire
la
sua
con
tutte
le
cautele
del
caso.
Ed
era
un
fiume in piena di parole, a partire dall'operazione “Piombo Fuso” del 2008 per non risalire al 1948.
“Il
paesaggio
intorno
a
me
non
mi
sembrava
vero,
mi
giravo
e
rigiravo
per
averne
piena
contezza
e
pensavo
d'essere
dentro
un
film
di
fantascienza.
Cercavo
in
tutti
i
modi
di
tornare
alla
realtà
ma
non
ci
potevo
credere.
Realtà
postatomica:
sublime
devastazione
da
percezione
subliminale,
macerie,
sangue,
morti
e
polvere.
Scene
di
quelle
che
neanche
in
televisione
vorresti
vedere
e
io
le
toccavo
con
mano,
le
vedevo
dal
vivo.
Ero
vivo?
Mi
sembrava
d'essere
in
un
altro
mondo,
nell'oltretomba.
M'avevano
appena
estratto
da
sotto
le
macerie,
tirato
fuori
dalla
tomba”.
Quando
si
guardano
queste
scene
in
televisione
ci
si
commuove
e
si
piange.
Atrocità
reali
non
film
distopici
horror.
Reale
realtà
sovradeterminata,
irrazionale.
“Mi
tirarono
fuori
vivo
per
miracolo,
ma
non
era
un
miracolo.
Era
la
mano
dell'uomo
altroché
miracolo,
i
miracoli
non
esistono.
Non
c'è
nulla
da
disquisire
sopra
i
miracoli,
sulla
mano
dell'uomo
sì,
molto.
Anche
se
tanti
non
ci
credono
e
fanno
gli
struzzi,
si
arrampicano
sugli
specchi
per
trovare una minima catarsi giustificativa, apologo sub iudice di discolpa”.
Corpi
straziati
intorno
a
me.
Corpi
martoriati
vagavano
come
ombre
fugaci
alla
ricerca
del
senno
perso,
qualche
straccio
qualche
brandello
una
pentola
perforata,
una
coperta
sfrangiata.
Dissennate
mani
sul
grilletto
con
tute
da
robocop
indossate
sventagliavano
proiettili
a
bizzeffe
su
chi
raccattava miseri resti da riciclare per un presente ignobile da affrontare.
“Una
forchetta
ricurva
gli
sembrò
un'arma
micidiale
e
subito
sparò
per
rendere
innocuo
il
ragazzino
che
la
teneva
in
mano:
robocop
col
grilletto
facile”. Si sparava anche alle pecore per non dare da mangiare ai bombardati.
“Vidi
il
ragazzino
traballare,
accasciarsi
e
rialzarsi
che
alla
morte
non
si
voleva
rassegnare”.
La
madre
con
le
mani
al
cielo
si
disperava
e
io
singhiozzavo. “Mi porsero una bottiglia impolverata con un fondo d'acqua per ripulire la gola dalla polvere incrostata”.
Più in là un carrozzone si strascicava per la strada con alcuni morti sopra ricoperti con la bandiera Palestinese”.
Non
c'era
più
pietà.
Era
morta
e
sepolta
anch'essa
trucidata
dalla
mano
dei
politici
in
auge
puliti
col
doppiopetto
del
popolo
eletto/negletto.
Demoni
incarnati,
esodati
paralizzati
di
fronte
al
roveto
ardente
che
si
beano
dell'ipertrofica
tronfia
elezione
supereroi
da
sentirsi
i
migliori
al
mondo; visione sionista-fascista. Visione daltonica!
“Dire
“atrocità
inaudite”
è
un
eufemismo
plaudente,
un
encomio
assolvente.
I
potenti
se
ne
stanno
a
guardare
e
lasciano
fare
all'avamposto
dell'impero.
Per
reconditi
motivi
all'ONU
non
mettono
il
veto,
nel
senso
che
i
motivi
si
sanno
benissimo,
ma
sono
reconditi
in
quanto
deplorevoli
e
grevi”.
In
mezzo
a
questo
paesaggio
lunare
non
mi
ritrovavo,
avevo
perso
ogni
lucida
cognizione
reale.
Ero
lì.
Tanti
visi
lerci
anneriti
a
mani
nude
scavavano in cerca di cadaveri.
“E
cosa
volete
trovare?
Qui
anche
i
vivi
sono
morti!”.
Diceva
una
voce
fuori
campo.
Parenti
e
amici,
grandi
e
piccoli
scavavano
mentre
una
torcia
illuminava le tenebre. Era tutto così tenebroso che il cielo non si vedeva sebbene fosse pieno giorno.
“Un
signore
che
non
riconoscevo
come
mio
padre
faceva
leva
con
una
stanga
a
sollevare
una
trave,
fare
un
pertugio
per
andare
in
giù
nel
palazzo
ridotto
ad
un
cumulo
di
detriti.
Un
altro
che
non
riconoscevo
fosse
mio
zio
si
disperava
che
li
sotto
c'era
sua
moglie
e
sua
figlia
di
sette
anni,
la
mia
cuginetta con la quale giocavo a tre sette e disegnavo sulle carte...”.
Lo
chiamarono
alla
ricetrasmittente
e
si
allontanò
di
corsa.
Mauro
restò
nell'ospedale
da
campo
di
MSF,
dov'era
ospite,
con
l'attendente-
traduttore
che
gli
descriveva
la
situazione
nel
reticolo
dei
tunnel,
di
come
li
avevano
scavati
e
come
li
gestivano
a
compartimenti
stagni.
Dopo
quasi un'ora Abed tornò al microfono, accalorato ma rilassato. Riprese il racconto.
“Mio
nonno
furtivo
era
entrato
dopo
le
prime
bombe
per
svegliarci
e
farci
uscire,
stava
prendendo
un
cappotto
per
ripararsi
dal
freddo
e
rimase
intrappolato
come
un
dannato
alla
Cayenna.
Stava
aprendo
l'armadio
e
tutto
crollò
in
un'istante,
un
colpo
sordo,
un
tonfo
sordido
e
la
deflagrazione
fece
il
suo
effetto
orbo”.
Schegge
rimbombanti
impazzavano
mentre
l'edificio
s'afflosciava
sotto
una
nube
di
polvere
che
s'ergeva
al
cielo, inalberandosi come un fungo. La chioma era grigia e densa, occludente le vie respiratorie a chi ci capitava in mezzo.
“I
suoi
occhi
prima
che
si
chiudessero
per
sempre
mi
hanno
lasciato
in
eredità
la
vendetta.
Era
un
nullatenente
spossessato
dai
Farisei
della
sua
atavica terra a favore dei coloni. Ingordigia senza resto”. Confidò Abed biascicando le parole.
Fece un respiro profondo, si schiarì la gola con un sorso ormai freddo di tè e riprese nel racconto.
“La
guerra
lascia
in
eredità
la
vendetta,
la
legge
del
taglione
e
ineluttabilmente
ci
sarà
qualcuno
che
prenderà-riceverà
il
testimone.
Mia
madre
seduta
su
un
blocco
di
cemento
col
ferro
contorto
piangeva
a
dirotto
come
se
nevicasse;
di
mia
nonna
non
se
ne
sapeva
niente.
Se
ne
stava
con
la
testa
tra
le
mani
e
tirava
in
su
con
il
naso,
fece
un
sorriso
amaro
misto
a
lacrime
di
felicità
allorquando
vide
la
mia
mano
uscire
dall'anfratto
innaturale. E in arabo di gioia gridava, in inglese gridava maledizioni a tutto spiano con incurabili mani al cielo sollevate”.
Cantava
la
zaghroutah
di
vendetta
e
con
tutto
il
cuore
la
invocava.
Il
cuore
divenne
un
coro,
e
tutti
i
presenti
lì
intorno
si
accodarono.
“Che
colpa
ne ho se sono cresciuto nell'odio? Io non voglio odiare mi hanno fatto odiare con l'orrore subito dal mio popolo, dalla mia terra. È colpa mia? No!”.
Chiese
e
rispose
retoricamente
Abed
a
se
stesso
più
che
a
Mauro.
Vivendo
all'inferno
non
si
crea
altro
che
risentimento,
ci
si
impregna
d'odio
come lo iodio, imbevuti gialli di bile verso gli estorsori delle terre altrui.
“Vogliono
estirpare
Hamas
ma
si
fanno
i
conti
senza
l'oste.
Ci
possono
uccidere
tutti,
ma
sono
già
pronti
coloro
che
raccoglieranno
il
testimone.
Tra
dieci
anni
saranno
punto
e
a
capo.
La
Palestina
è
immortale,
anche
se
occuperanno
tutto
il
territorio
vivrà
in
eterno.
Possono
avere
tutte
le
armi
migliori,
ma
non
potranno
mai
sottomettere
un
intero
popolo.
Netanyau
l'ha
presa
come
un
affronto
personale
al
suo
onore,
non
ci
dorme
la
notte
e
ha
sete
di
vendetta.
Deve
lavare
l'onta
sulla
sua
carriera
politica.
Resterà
questo
nei
libri
di
storia.
Giudicato
come
Hitler”.
Abed
si
lasciò
andare
a
sfogare
una
ramanzina
sulla
“Terra
promessa”
declamata
come
l'ombelico
del
mondo
mentre
a
lui
sembrava
ridotta
più
che
altro
il
buco
del
culo
del
mondo.
E
il
condottiero
novello
David
ammorbato,
come
un
tamarro
circondato
da
maranza,
della
sindrome
terapeutica
negativa:
meglio
malato
che
cadere
guarito.
Il
tamarro
non
ha
sensi
di
colpa,
ha
solo
impulsi
coattivi.
È
uno
che
non
riesce
a
verificare
se
si
trova
nel
mondo
comune o d'essere quello dello specchio.
Mauro
aveva
bisogno
di
testimonianze
autentiche,
informazioni
pulite
e
non
le
solite
cose
da
cani
da
guardia.
Tutta
l'informazione
che
usciva
da
Gaza
era
embedded
al
seguito
dell'esercito
di
Tel
Aviv
che
faceva
vedere
quello
che
gli
faceva
comodo
a
discapito
della
verità,
la
quale
risultava
parziale
e
teleguidata.
A
Mauro
ciò
non
lo
soddisfaceva
affatto
essendo
lui
ligio
ai
principi
irreprensibili,
scritti
sulla
pietra,
del
giornalismo
autentico.
Abed
si
muove
tra
le
ombre
silenziose
di
Gaza
city,
i
revenants
rimasti
a
presidiare
e
testimoniare
l'indecenza
israeliana.
Le
scansa
e
si
meraviglia
che
nessuno
l'abbia
contattato
come
testimone
del
paesaggio
mortuario.
Si
meraviglia
che
nessuno
cerca
la
verità
e
tutti
si
accontentano
degli
embedded
disinformati.
Di
quelli
a
cui
fanno
fare
i
tour
turistici
giornalistici.
Eppure
i
contatti
arabi
o
occidentali
che
Abed
ha
lo
sanno
che
lui
è
lì
nel
sottosuolo
sotto
i
raid
pronto
a
vuotare
il
sacco.
Solo
qualche
testata
araba
ha
fatto
alzare
la
sua
voce
dal
sottosuolo
dove
si
protegge
dalle
bombe.
Per
Mauro
ci
voleva
una
seduta
medium
per
contattarlo
e
sentire
la
testimonianza
di
Abed.
Era
difficile
da
raggiungere
in
quelle
catacombe
di
Gaza
city
dove
si
aggirava
con
una
radio
a
bassa
frequenza
per
non
essere
geolocalizzato.
La
notte
usciva
l'antenna
e
si
connetteva
con
un
cellulare tra i profughi scacciati verso Rafah.
Mauro
doveva
verificare
una
fonte
che
gli
era
stata
trapelata
dal
suo
informatore
alla
Casa
Bianca.
Fonte
sicura
ma
ci
voleva
la
conferma
sul
campo. Il file vocale riportava una conversazione tra Netanyau e Biden, o meglio tra il loro sherpa, alter ego, più vicini.
“Non arrischiatevi a far passare la mozione al Consiglio di Sicurezza. Dovete mettere il veto”. Sosteneva l'israeliano.
“Siamo sicuri che poi non attaccate Rafah? Perché nostre fonti dicono che volete arrivare in Egitto”. Bofonchiava l'americano.
“Ti do la parola d'onore di Netanyau che non colpiremo i civili”. Replicò l'israeliano con tono categorico.
L'impero
pensava
di
controllare
la
periferia,
l'avamposto
antimusulmano,
senza
perderci
la
faccia
che
già
tanti
guai
aveva
combinato
adducendo
la
mera
scusa
del
terrorismo.
Contenerlo
per
non
mettersi
contro
l'opinione
mondiale.
Avevano
già
messo
tre
veti
e
il
quarto
era
un'esagerazione.
Poteva sembrare che la lobby interna ebraica condizionasse le decisioni del Presidente, ed in tempo di elezione non era facile barcamenarsi.
“Tranquillo
Sam
tuo
nipote
Ben
non
ti
tradirà
mai”.
Disse
con
tono
convincente
l'israeliano.
“Siamo
il
tuo
avamposto,
non
lo
dimenticare”.
Lo
rassicurò, aggiungendo: “In una regione che fibrilla di arabi con la testa malata”.
“Attenti
che
state
oltrepassando
il
limite.
Se
il
conflitto
s'allarga
non
vi
possiamo
aiutare.
E
con
le
vostre
forze
non
ce
la
potete
fare.
Metteremo
il
veto
ma
datevi
una
calmata.
Rendetevi
conto
che
state
perdendo
consenso
al
livello
mondiale”.
Lo
mise
in
guardia
l'americano
non
tenendo
conto
che di Giuda non ci si può allegramente fidare. La solita solfa, siamo degli asini a cui la storia non insegna niente.
“Se
non
rispettate
gli
impegni
presi
e
ci
prendete
per
i
fondelli
la
nostra
pazienza
ha
un
limite”.
L'assicurazione
dell'amico
alter
ego
di
Netanyau
non
lo
convinceva,
eppure
si
doveva
fidare.
Infatti
il
giorno
dopo
il
veto
all'ONU
gli
israeliani
ripresero
a
marciare
con
raid
su
ospedali
e
moschee
cacciando
via
la
popolazione
verso
il
mare
per
farli
affogare.
Fu
così
che
passò
alla
storia
come
una
remota
provincia
prese
per
il
culo
il
centro
dell'impero. L'eccesso di presunzione è un peccato mortale, l'impero con tutti i pensieri che aveva accusò il colpo e andò in fibrillazione.
Quel
file
vocale
era
una
bomba
perché
sputtanava
l'ignominiosa
condotta
in
questa
guerra
degli
Stati
Uniti.
Eppure
l'opinione
pubblica
in
parte
era pure filoisraeliana ad oltranza giustificando e rendendosi complice del massacro, del genocidio in atto.
Per
motivi
di
sicurezza
Abed
doveva
chiudere
la
conversazione.
“Caro
Mauro
qui
siamo
tutti
terrorizzati,
non
solo
i
bambini
e
le
donne,
ma
anche
i
grandi
e
i
vecchi.
Il
terrore
misto
a
rabbia
si
legge
nei
volti
di
tutti.
È
un
terrore
che
si
esprime
in
rancore
e
odio.
Essi
raccoglieranno
il
testimone,
saranno
la
staffetta
dei
morti
e
in
un
prossimo
futuro
li
vendicheranno.
La
Palestina
immortale.
Non
si
può
cancellare
dalla
faccia
della
terra
un
popolo,
una
nazione,
neanche
Hitler
c'è
riuscito”.
E
mise
giù
il
microfono.
L'immortalità
dell'uomo
consiste
nel
fatto
che
qualcun
altro,
figlia
o
figlio,
nipote
o
cugino
raccoglie
il
testimone
e
continui
l'opera
del
defunto.
Lo
stesso
avviene
per
un
popolo
o
etnia.
La
riproduzione
ha
questo
fine:
impedire l'estinzione. Evitare che i progetti avviati restino a metà: non conclusi, stroncati.
Rosella Rogora
Poesia
Opera in Concorso
Il Nulla
Laggiù dove finisce il mare
l’immenso
si staglia prepotente
in uno sfondo tinto di nero
solo il pensiero
illumina le menti sagge
pronti a comprendere
il nulla.
Dove finisce
l’immenso
vive qualcosa
di impenetrabile e divino
dove l’anima
respira
abbandonata
in un abbraccio sovrumano
cos’è il nulla
un abbraccio
di tutto e di niente
un respiro agognato
su labbra gelide
che sussurrano.
il nulla è niente di niente
è di tutto e di tutti.
Frammenti
Frammenti
di giochi in campi di grano
di grandi risate
di grida spensierate.
Frammenti
di profumi
di sapori
di tavole imbandite.
Frammenti
spezzati
di anni che scorrono via
lasciando
uno strascico
nostalgico.
Frammenti
d’amori
perduti
e ritrovati.
Frammenti
di noi
che viviamo
il giorno e la notte
perché la vita
è un piccolo e fragile
frammento
di stelle cadenti.
Profumo di madre
Il profumo
della tua pelle
mi rincuora.
Come bimba
nel tuo grembo
mi rifugio.
Profumo di madre
mi riveste
come abito d’amore.
Il richiamo è forte
e placa le mie anse
riconducendomi
laddove le tue braccia
mi stringevano al cuore.
Quel profumo è dentro di me
come anima
che si strugge
d’amore.
Rosella Rogora
Libro di Poesie
Opera in Concorso
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Poesia
Isabella Sandon Tenca
Poesia
Francesco Di Garbo
Libro
Francesco Di Garbo
Racconto
Rosella Rogora
Poesia
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Gianfranco Tamagnini
Libro poesie
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